Parco Poesia, tra palingenesi e scoutismo

Devo fare una premessa, una premessa che si può riassumere in una manciata di righe: il mio giudizio nei confronti di Parco Poesia è, nella sostanza, abbastanza positivo. Problemi ci sono in ogni cosa (nella quale c’entri il genere umano), non si può sfuggire. Semmai, il fatto è che si radicalizzino, si amplifichino quando si è costretti a una condizione di centralità, di riferimento (la DC, in modo analogo,  che fu costretta a governare, come molti hanno scritto). Il pubblico di Parco Poesia dovrebbe avere delle alternative, dovrebbe poter pensare vado a Parco Poesia o vado a _ _ _. Parco Poesia ha fatto un ottimo lavoro, ha costruito, con tenacia e perseveranza, qualcosa di unico a livello nazionale. Sia chiaro, dovrebbero essere gli altri, quelli che se ne lamentano, a trovare la forza di organizzarsi, di proporre un modello alternativo, sarebbero loro a dover definire i confini di un evento differente, di una nuova iniziativa. La stagnazione non è mai un bene. Serve sempre, io credo, qualcuno che cerchi di fare la stessa cosa che fai tu, o qualcosa di molto simile. Serve qualcuno che tenti di metterti 'i bastoni tra le ruote', che provi a dimostrare, nei fatti, che tu stai sbagliando e che lui potrebbe fare meglio o in modo diverso rispetto a te. Parco Poesia avrebbe bisogno di un antieroe, qualcuno che lo obblighi a evolversi in modo ancor più rapido. Parco Poesia ogni anno conosce rinnovamenti grandi e piccoli, ma l'idea che ne sta alla base è di non cambiare e questo è, per certi versi un bene, per altri un male.


Parco Poesia ha un grande vantaggio, è capace di mettere a disposizione dei poeti alcune efficaci forme di appagamento: 1) riconoscimento reciproco, 2) pubblico, 3) la presenza dei big per i wannabe e dei wannabe per i big, 4) è altrettanto capace di proporre una visione di società poetica dove chiunque, basta che lo desideri ardentemente, possa arrivare da qualche parte. L'importante è prendere parte a un rito, che si vivifichino certi legami interpersonali, essere ossequiosi nei confronti delle figure di rilievo presenti, che si riconosca, di loro, la centralità e la rilevanza delle loro riflessioni (e sia chiaro, questo accade in ogni società umana normale).

Parco Poesia è capace di garantire, a ognuno dei giovani che vi partecipi, un quarto d’ora di celebrità. Parco Poesia riesce a diffondere e promuovere desiderio di realizzazione, che questo avvinca l'individuo, o una camarilla, poco importa. Così, seppur in modo involontario, Parco Poesia anestetizza, rimanda, posticipa quello che potrebbe essere un lecito conflitto generazionale originato dal disaccordo, da una differente visione del mondo; lenisce dolori, pone un unguento magico su ferite talvolta profonde, le quali però non guariscono, smettono solo di sanguinare e, soprattutto, imbrattare. Questo sentimento di speranza, che oscura le urgenze impresse dall'incertezza della situazione coeva, si traduce in un sopore, in un limbo, si fa, nel peggiore dei casi, vero e proprio dispositivo di controllo, al pari della catarsi che contraddistingue alcune manifestazioni studentesche. 'Convivenza' significa compromesso, convivere con l'autorità (authority) ci sottopone ai processi di persuasione che essa esercita involontariamente; allo stesso tempo non possiamo ignorare dinamiche quali la 'Social proof' e il liking, sempre tenendo conto di come questi termini vengono impiegati nell'ambito della psicologia sociale.

Forse Parco Poesia è soggetto al problema stesso che si riscontra nelle accademie d'Italia. La ragione potrebbe essere semplice: molti dei giovani che partecipano a Parco Poesia sono, oggi, giovani accademici, avvezzi alla frequentazione di un luogo – il 'tempio' del Sapere, dove il loro coinvolgimento, troppo spesso, dipende dal fatto che si siano dovuti sottomettere a qualche cattedratico. Ognuno di noi ha un amico che, pur di accedere a una scuola di dottorato, si è dovuto dedicare a un progetto di ricerca per il quale non nutriva il benché minimo interesse, anzi, se avesse potuto seguire le sue inclinazioni ben altre ricerche avrebbe deciso di intraprendere, così abbiamo persone che volevano occuparsi delle vicende editoriali di Urania, o di autori come la Le Guin, costrette a spendere tre anni cruciali della loro vita tra le pagine di Summonte e Pontano (e mi chiedo quale beneficio ne tragga la società, quando le energie delle sue menti più giovani e brillanti, sono sacrificate nel perseguimento di un futile scopo).

Credo sia doveroso considerare il fatto che ci muoviamo con fatica in un contesto che è, nella sua stessa anima, affetto da un duro conservatorismo (e in questo caso non mi riferisco a Parco Poesia, ma ai mutamenti che la società occidentale sta sperimentando). L'unica soluzione possibile potrebbe corrispondere a un progetto che si rivolga, in forma esclusiva, a chi appartenga alla nostra coorte, ovvero a quell’aggregato di individui che hanno “sperimentato lo stesso evento e nello stesso intervallo di tempo” (Ryder). Mi riferisco a tutti coloro che sono cresciuti, per un privilegio anagrafico, in quel periodo dell'età contemporanea che è stato segnato dalla rivoluzione digitale, dalla ‘morte delle ideologie’, dalla fine della storia, e della cultura, elementi che hanno contribuito al drastico mutamento dei tempi e delle forme di fruizione del Sapere – dovremmo darci un'organizzazione e dei fini da perseguire, dovremmo stabilire delle strategie e scegliere quali strumenti adottare.

Ci troviamo infatti dinnanzi a una impetuosa forza generatrice, una ‘kultur’ della globalizzazione, del cosmopolitismo blasé. Siamo spaventati da un futuro incerto e, intimoriti dalle sfide che questo rappresenta, ci limitiamo a una immobilità trasognante, siamo atterriti ed è comprensibile, siamo alla costante ricerca di riferimenti immutabili, di monadi; qualcosa che abbia la capacità di resistere, adamantino, e che ci attenda al di là dei limiti dell'ordinarietà; e nel frattempo vagheggiamo, forse, una “età dell’oro” giacché guardiamo con nostalgia momenti storici e realtà a noi del tutto sconosciute (e non me ne escludo) non accorgendoci che la ragione ultima del vivere è il cambiamento, l'adattamento. Forse le incertezze date dal periodo nel quale viviamo fanno sì che le nostre forze vengano dissipate osservando l'oscurità nel vano tentativo di imbatterci nel fulgore di una stella fissa, di un'epifania capace di imprimersi, in modo indelebile, nella nostra anima, una rivelazione capace di attribuire un senso ai nostri dolori e alle nostre fatiche. Per quanto oggi, più che in passato, l’accademia si mostri in tutta la sua fragilità, e sia incapace di interpretare i bisogni, anche di carattere spirituale, del paese, l’accademismo è per alcuni l'unica strada percorribile, qualora si voglia dedicare la propria vita alla Letteratura. Eppure è pericoloso ritenere che sia la frequentazione dell'Accademia (un certo entrismo) ciò che possa legittimare le nostre opinioni estetiche perché così ci sottoponiamo al pericolo di morire per epigonismo. Non possiamo dimenticarci del fatto che la Letteratura è, oggi come in passato, costretta a competere con un numero sempre maggiore di prodotti di intrattenimento: App per cellulari, contenuti multimediali pubblicati su YouTube, videogame, film etc. La Letteratura non basta, e non può bastare a se stessa, è ahinoi immersa in un mondo complesso e difficile di cui è, alla fine, mera espressione.


Nei confronti di Parco Poesia nutriamo ogni anno un discreto numero di aspettative, attendiamo questo evento per confrontarci reciprocamente (poeti e poeti) e sentirci a questo modo parte di un parnaso; la rabbia che in alcuni scaturisce, durante e a seguito di quest'evento, ha proprio questa origine. Siamo oramai giunti alla decima edizione di Parco Poesia e credo sia evidente che ci si trovi dinnanzi a un'iniziativa che sia stata capace di consolidarsi, e di coinvolgere il territorio nel quale essa è ospitata. Non credo nella fragilità di Parco Poesia né credo che, allo stesso tempo, chi abbia reso tutto ciò possibile e non – e in questo caso mi riferisco ai finanziatori – alla instancabile Isabella, non conosca il linguaggio della celebrazione; avere qualcuno che investa nelle nostre iniziative è grandioso ma comporta, in genere, taciti accordi, complicità e una comunanza di vedute, almeno per quanto concerne la direzione artistica.

Per me Parco Poesia sta diventando consuetudine, una buona consuetudine - come lo può essere PordenoneLegge, come lo è PoesiaFestival o come lo fu AbsolutePoetry. Anche se ho partecipato a solo due edizioni di Parco Poesia, trovarmi là fa sì che io mi senta a casa, in un certo senso che io mi senta al sicuro – ci sono momenti di tensione, ci sono incomprensioni; ci sono cose che, per alcuni, non vanno bene e dovrebbero essere cambiate. Quella in cui ci si immerge è un'atmosfera protetta, uno spazio entro cui si ha la possibilità di scattare una fotografia, una fotografia capace di ritrarre quanto stia succedendo, di buono e non, nel ristretto ambito della poesia italiana contemporanea – anche di rendersi conto di quali siano le strade che stanno imboccando gli autori più giovani. Il problema è che, osservando con attenzione, io penso che vi sia il modo di intravedere una mappa entro la quale, ognuno di noi, come in progetto urbanistico, debba trovare una specifica collocazione. Quando ci troviamo a Parco Poesia abbiamo l’impressione di essere entrati a far parte di un ecosistema; c’è armonia, un'armonia a tratti eccessiva.

Ed è proprio in questo che si annidano alcuni pericoli, il fatto che, in un modo o nell'altro, Parco Poesia garantisca a ognuno di noi il conforto di una sosta, rinfocola in noi alcune illusioni. Di sicuro, ciò a cui si assiste a Parco Poesia, presuppone un dispendio di energie effimero, se lo si pone a confronto di uno scenario nel quale regni un conflitto aperto e democratico (Parco Poesia non è certo scosso dai traumi, dalle diatribe, dalle polemiche, che caratterizzavano i ritrovi del Gruppo '63, e questo forse non ci dà la possibilità di crescere, di migliorare quanto, in realtà, potremmo) non è possibile parlare di quale collocazione possa avere, nella società nella quale viviamo, lo scrivere versi; riflessioni di ordine politico e sociologico sono tabù, la sociologia deve stare fuori dalla Letteratura ecco, questo, personalmente, faccio fatica ad accettarlo. La Letteratura dovrebbe infradiciarsi non di pioggia ma di altre discipline, dalla Sociologia alla Biologia – la Critica Letteraria non è una disciplina autonoma, non basta, e non basterà mai a se stessa. A Parco Poesia, c’è cordialità, c'è pace, si è tutti poeti, tutti poeti a modo nostro, e questo è sufficiente a fare sì che si sia tutti amici, è un raduno scout. Anche coloro che criticano Parco Poesia nel modo più aspro, in un certo senso, sono a esso legati, hanno bisogno di Parco Poesia come, quello stupido primate che chiamiamo homo sapiens, necessita di uno specchio entro cui riflettersi per vedere il suo grugno. La centralità, il potere, di Parco Poesia sta in questo. Parco Poesia è un appuntamento ineludibile, siamo tutti costretti a parlarne (e felici di parlarne). Se però si cercasse una Palingenesi, Parco Poesia non potrebbe essere il luogo adatto al suo manifestarsi, forse quello entro cui cercarne l'origine. È innegabile, infatti, che ogni anno, in occasione di questo festival, ci sia l'occasione di corroborare certi sodalizi, che ci si possa contare e ragionare comunemente come moderni carbonari. Parco Poesia si rinnova ogni anno, le iniziative, pregevolissime, sono numerose, tutto però rientra in un preciso spettro cromatico, ed è innegabile che vi sia una gestione artistica, una regia acuta.